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È una sorta di data di scadenza assegnata ai prodotti di consumo non alimentari e di cui i consumatori non sono a conoscenza che ha gravi conseguenze per l’ambiente.
Fornire garanzie a breve termine, non rilasciare istruzioni o ricambi per le riparazioni o renderle eccessivamente complicate e costose: è quello che si definisce obsolescenza programmata e che colpisce molti prodotti che utilizziamo, in particolare quelli elettronici.
Le persone, dunque, verrebbero indotte a comprare un nuovo prodotto attraverso la predeterminazione del ciclo di vita di quello che devono sostituire destinato a rompersi dopo un certo periodo di tempo dal suo acquisto.
Pare che la tecnica non sia una trovata recente e che, anzi, risalga al 1924 quando le aziende produttrici di lampadine ad incandescenza si unirono in un cartello allo scopo di concordarne le ore di vita massima (che furono fissate in circa mille).
Una conferma dell’esistenza di tecniche di costruzione finalizzate ad accelerare la fine dei prodotti elettronici è fornita dalla condanna subita da Apple al termine di una class action in cui l’accusa è riuscita a dimostrare che l’azienda aveva volutamente programmato le batterie dei suoi iPod per peggiorarne irrimediabilmente le performance dopo un lasso di tempo di otto/dodici mesi. Cupertino fu condannata non solo a risarcire i suoi clienti, ma anche ad estendere la garanzia dei propri prodotti a due anni.
Nonostante tutto, Apple sembra comunque essere una delle aziende più virtuose in tema di tutela ambientale: non solo investe costantemente nella conversione della sua produzione alle energie rinnovabili, ma ha anche annunciato di voler creare un circuito virtuoso basato sul riciclaggio per produrre i suoi smartphone e tablet.
In passato c’è stato anche chi ha proposto di utilizzare l’obsolescenza pianificata per ridare impulso all’economia: nel 1932, l’imprenditore americano Bernard London pubblicò un saggio dal titolo “Uscire dalla depressione attraverso l’obsolescenza pianificata” in cui sosteneva che per uscire dalla spaventosa crisi del 1929 e ridare slancio ai consumi bisognava agire sulla durata dei prodotti.
Abbreviare artificialmente la vita di un prodotto ha un forte impatto sul rispetto dell’ambiente dato che la stragrande maggioranza degli oggetti “affetti” da obsolescenza pianificata sono gadget elettronici che una volta trasformati in rifiuti diventano difficili e costosi da smaltire.
Lo smaltimento dei RAEE (così vengono definiti gli apparecchi elettronici) non è l’unico problema: per sostenere un sistema di produzione con un avvicendamento così rapido dei prodotti serve una grande quantità di risorse materiali ed energetiche.
Per ovviare a questi problemi e per tutelare i consumatori dall’obsolescenza programmata molti paesi, tra cui l’Italia (dove vi sono tre proposte di legge al vaglio del Parlamento), si stanno muovendo. Tra questi vi sono Belgio, Olanda, Finlandia ed Unione europea, mentre la Francia lo ha già previsto come reato punibile con due anni di carcere e 300 mila euro di multa.